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2 metri e 38. «La Vita è un Pallone Rotondo»
10/04/2018|L'ANALISI

2 metri e 38. «La Vita è un Pallone Rotondo»

2 metri e 38. «La Vita è un Pallone Rotondo»
illustrazione di Matteo Sarlo
parole di Luciano De Fiore
La bicicleta esprime meglio di ogni altro gesto la bellezza della convenienza. Perché la rovesciata alla Parola è la scorciatoia più diretta e insieme impervia tra il pallone e la porta avversaria.

Un peluche di vostra figlia è finito in bilico sull’armadio? Se lo avete ospite a cena, ve lo tirerà giù con un calcio. Arrivando col piede a due metri e trentotto di altezza. È l’esempio immaginifico scelto da “Repubblica” per dare l’idea del gesto atletico e acrobatico col quale Cristiano Ronaldo, con una perfetta rovesciata, ha incastrato il pallone nell’angolo difeso – inutilmente – da Buffon, in Juventus-Real Madrid.
Ronaldo ha usato il pallone come un giocattolo, ed è stato usato a sua volta come un giocattolo dagli dèi, è evidente. Il gol, il gesto atletico che più apparenta il calcio alla poesia. Generazioni di lirici lo hanno già sancito: foste rimasti indietro, fatevi una cultura – per restare agli italiani – tra Saba e Ungaretti, Leopardi e Acetelli.
Istinto, e classe. Un gesto atletico del genere – esattamente come una risposta di Federer ad un servizio di Isner sopra i 200 km/h – tiene insieme capacità tecnica, decision making e comportamenti in automatico. Con Papineau, viene da chiedersi come nello sport riflessi non ragionati possano essere controllati dal pensiero cosciente. Davvero i campioni sono in grado di affidare tutti i dettagli delle loro tecniche al controllo automatico del corpo? Come se i sistemi inconsci che gestiscono le capacità tecniche di un fuoriclasse imparassero a tenere conto delle condizioni e a regolare i colpi per adattarli di conseguenza.

La cosiddetta “bicicleta”, o rovesciata alla Parola (il mitico centromediano della Juventus tra gli anni Quaranta e i Cinquanta che l’ha resa immortale, campeggiando da mezzo secolo sulla copertina dell’album delle figurine dei calciatori Panini, perfetto strumento d’iniziazione del giovane consumista), oltre a costituire una pietra miliare della semiosfera calcistica, esprime meglio di ogni altra azione tecnica la bellezza della convenienza. Perché è la scorciatoia più diretta e insieme impervia tra il pallone e la porta avversaria. Stai spalle alla porta, il pallone è in aria; dovresti stopparlo, girarti, evitare l’entrata del difensore, mantenere il controllo e tirare. Invece guardi la palla, “senti” la porta e arrischi il colpo. Dritto per dritto. Ibrahimovic contro l’Inghilterra, da 40 metri. Mexes dal limite dell’area. Ronaldinho, quando giocava al Barça e contro il Real Madrid, scentrato rispetto alla porta e stoppando di petto.
La rovesciata in gol è quindi insieme poesia e prosa, sintesi di quella razionalizzazione emotiva della vita sociale che è il football, codificazione e ritualizzazione tra le più riuscite della incontrollata aggressività umana originaria e della pulsione sessuale. Pier Paolo Pasolini sosteneva che il football giocato dai verde-oro brasiliani fosse il migliore, proprio perché era un buon calcio di prosa interrotta da versi folgoranti: i gol. Se la rovesciata finisce in rete, allora si rende ancor più evidente la parentela con la pulsione: il gol è l’orgasmo del calcio. Non a caso, è sempre meno frequente. Un tempo, notava Eduardo Galeano, era raro che una partita terminasse 0-0, come due bocche aperte, come due sbadigli. Come anche non è un caso che l’eroe calcistico sovietico per eccellenza sia stato un portiere, il grande Lev Jašin, ultimo baluardo difensivo, e non un centroavanti, come nell’epopea calcistica latino-occidentale. Prima ancora, l’URSS ideologizzata degli anni Trenta aveva innalzato ad eroe un estremo difensore nel film Il portiere (1937), a riprova di una certa propensione all’ascesi della Rivoluzione. Anche se, va detto, il goalkeeper affascina poeti e narratori all’est come all’ovest, ieri come oggi.

Smetto, anche perché – come diceva una brava – di calcio non si parla. Queste righe volevano soltanto fungere da invito a tener conto di una mostra al Pérez Art Museum di Miami: The World’s Game: Fútbol and Contemporary Art. Fútbol, scritto così, alla brasiliana. Un itinerario – un lungo dribbling, una serpentina alla Messi –  sul tema del calcio ​​e le sue interazioni con le società odierne, ovunque nel mondo.
Pensata per coincidere con i Campionati del Mondo 2018, orfani dell’Italia, l’esposizione dà conto dei tanti modi in cui il calcio ha ispirato artisti noti e meno conosciuti. Sono esposte opere di oltre 30 artisti contemporanei di tutto il mondo che lavorano con video, fotografia, pittura e scultura su di un tema e un linguaggio universale come pochi, terreno d’incontro per questioni sociali, culturali e politiche che travalicano lo sport, investendo identità, nazionalismi, globalismi e mille aspetti della società dello spettacolo di massa.
A Miami, una volta di più, il football esce dalla TV e dagli stadi, dai luoghi celebrati come teatri (San Siro: “la Scala del calcio”) o come templi della modernità, per trovar spazio stavolta in un museo. Senza dimenticare però che il calcio non ha un palcoscenico privilegiato altro da quello dove viene giocato. Spesso improvvisando, tirando quattro calci in spiaggia, arrangiando la porta con due remi di un pattino; oppure accatastando giacche e pullover come pali in un parco cittadino, o in un prato a Pasquetta. La vita è un pallone rotondo.


Luciano De Fiore insegna Storia della Filosofia Moderna alla Sapienza, Roma. Si occupa di mare, Hegel, psicoanalisi e passioni.

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