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Freud, o della devozione per la complessità psichica
12/04/2018|L'EVENTO

Freud, o della devozione per la complessità psichica

Freud, o della devozione per la complessità psichica
illustrazione di Simona Bramucci
parole di Silvia Vizzardelli
Leggere Freud di Sergio Benvenuto ci insegna a frequentare zone liminari, senza fretta e con una straordinaria devozione per la complessità della vita psichica.

Leggere Freud sopportando l’inquietudine del suo pensiero non è una impresa scontata né semplice. “Sopportare” significa, in questo caso, non precipitarsi alla ricerca di una risposta, ma lasciare agire la vis solutiva come carburante della ricerca. Del resto l’intera opera freudiana è caratterizzata da una spinta incontenibile verso i confini dell’impensato, mossa dal sentore che occorra frequentare le soglie per far luce su ciò che sfugge. In fondo la psicoanalisi nasce per mano di chi ha saputo vedere nel consolidato l’incerto, nell’habitus l’inedito, nel cliché l’energia sepolta.

In un recente lavoro, Sergio Benvenuto, attraverso Freud, naviga sulla rotta che più gli è congeniale, al punto, potremmo dire, che questo libro rappresenta una testimonianza del suo stesso modo di avvicinare la nebulosa della vita psichica, della sua vocazione a frequentare gli impasti pulsionali facendosi guidare dalla densa e ossimorica sapienza popolare assai di più che dalle finezze della teoria:

La psicoanalisi ci affascina perché è in fondo summa del sapere psicologico popolare, del quale siamo intrisi. Benché le spiegazioni analitiche appaiano complesse, di fatto ci appaiono così convincenti perché si basano su verosimiglianze psicologiche che molti di noi in qualche modo accettano

E come si caratterizzano la sapienza e l’insight della “domestica malandrina” che rende ancora così fecondo e attraente il discorso psicoanalitico quando non si fa servo della presunta affidabilità dei protocolli delle cosiddette “scienze dure”? Provo a sintetizzarne così la natura: si tratta di un discorso basato su una ontologia incestuosa che sostituisce alla logica dell’esclusione reciproca la logica dell’inclusione contraddittoria. Freud, nel ritratto sintonico che ci restituisce Benvenuto, è sempre posizionato nel luogo di una obversione, struttura logica di una ambiguità profonda, dove la vita si converte in morte, l’effervescenza in coalescenza, lo spirito in osso, come avrebbe detto Hegel. Freud elegge la sua traballante dimora nel trattino che separa vita-morte, natura-cultura, affermazione-negazione, piacere-dispiacere, desiderio-godimento, fatti-interpretazioni, e si potrebbe continuare. L’essenziale è qui ribadire che in quel trattino si gioca la partita di una conversione (obversione), non di una sintesi terza. È un punto decisivo questo che restituisce Freud alla logica binaria della Wechselwirkung (relazione reciproca) primoromantica, indicando in quel trattino il perno dello psichismo.

Tenendo conto dell’intera produzione di Benvenuto, si può dire che il suo sforzo è stato quello di non accettare le lusinghe dell’accomodamento teorico e di tollerare le scomodità di una ontologia incestuosa, appunto. E qui occorre del tatto nel duplice senso della parola: accortezza e delicatezza del sentire, del pensare e dell’agire, ma anche nel senso proprio che evoca l’azione del toccare. Sì, perché in un certo senso vita e morte, così come natura e cultura, possono solo toccarsi. Tra i due non c’è articolazione ma solo contatto. Qualcosa di molto simile ci ha suggerito Agamben a proposito del rapporto tra voce e linguaggio o, che è lo stesso, tra natura e cultura, nuda vita e significazione: «Dove voce e linguaggio sono a contatto senza alcuna articolazione, là avviene un soggetto che testimonia di questo contatto. Il pensiero che voglia rischiarsi in questa esperienza deve situarsi risolutamente non solo nello iato – nel contatto – fra lingua e parola, semiotico e semantico, ma anche in quello tra phoné e logos».

Il tatto, proprio perché ci avvicina al totalmente altro lasciandolo essere per quello che è, non articolandolo, è il senso che ci offre l’opportunità di capire come possa esserci morte con la complicità della vita o vita con la complicità della morte, come si possa desiderare e nello stesso contattare un non-desiderio. Benvenuto porta l’esempio dell’eterna diatriba psicoanalitica riguardante la scelta tra fatti e narrazioni. La ricostruzione di una vita fatta nella stanza dell’analisi racconta una trama reale, scene di vita vissuta, o una trama psichica indifferente a ciò che di fatto è accaduto? Di solito il pensiero sbatte, come una falena, di qua e di là, alla ricerca di una soluzione, e allora propende nel riconoscere che la psicoanalisi è l’avventura di una scoperta di scene ed eventi sepolti, per poi magari arrivare a sostenere che essa invece è solo invenzione e che suo compito non è analizzare fatti ma interpretare costruzioni. A me suona come un balsamo la risposta di Benvenuto:

A questa domanda non c’è risposta indubbia. La psicoanalisi si muove sempre nel terreno di frontiera tra invenzione e scoperta, ed è in questa linea incerta che essa esercita il suo tatto, nel doppio senso che questo termine ha in italiano

E così uno psicoanalista disposto a contattare e a farsi contattare ascolterà attentamente le narrazioni di vita che si succedono in una stanza di analisi, darà credito all’irrompere della vita nella sua contingenza, mantenendo nello stesso tempo vivida la sensibilità per il modo, lo stile della narrazione e, così facendo, porterà le invenzioni a sfiorare le scoperte e viceversa.

Benvenuto ripercorre gli snodi più significativi del pensiero freudiano: la nascita della psicoanalisi e la cura dell’isteria, la questione del narcisismo, l’irrompere della pulsione di morte, la teoria dei legami sociali, la sublimazione, la fine analisi. Sei capitoli che pur addentrandosi nei meandri della teoria freudiana mantengono uno sguardo limpido rivolto a quella che ho definito una ontologia incestuosa. Se la dialettica, per come la abbiamo intesa più comunemente e talora falsandola, muove da un bisogno di sintesi e di superiore chiusura, il discorso freudiano è “ironicamente” (nel senso, ancora una volta, dell’ironia romantica da una parte, e della “domestica malandrina” dall’altra) diadico e procede grazie allo scambio reciproco degli opposti. Proprio nel capitolo dedicato a Al di là del principio di piacere, il testo più controverso della storia della psicoanalisi perché, come ha ben mostrato Derrida, cerca di posizionarsi nello spazio aperto da quel trattino che separa e unisce Vita-Morte, Benvenuto ci suggerisce quale deve essere la postura di una accorta lettura di Freud: una lettura che anziché lasciarsi spaventare dalla contraddizione, considera le inconsistenze della costruzione teorica come “legge effettiva della psicoanalisi”:

I chiasmi concettuali, le inconsistenze logiche, i sospetti sofismi della teoria devono essere presi come testimonianza del lavoro della clinica psicoanalitica. Le incrinature della teoria testimoniano l’infondabilità teorica di una pratica, di un’etica – quella dell’analisi

La psicoanalisi è oggi più che mai, o forse come sempre, al centro di scontri sanguinosi in cui le teorie vengono gettate come armi contro presunti avversari. Un libro come questo di Sergio Benvenuto ci esercita, ci educa al tatto, a frequentare zone liminari, senza fretta e con una straordinaria devozione per la complessità della vita psichica.


Silvia Vizzardelli è docente di Estetica e Filosofia della musica presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università della Calabria. Tra le sue ultime pubblicazioni La tentazione dello spazio. Estetica e psicoanalisi dell’inorganico (Orthotes) e Filosofia della musica (Laterza)

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