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La Forma dell’Acqua. La Favola che interrompe il Circuito della Favola (SPOILER ALERT!)
15/03/2018|L'EVENTO

La Forma dell’Acqua. La Favola che interrompe il Circuito della Favola (SPOILER ALERT!)

La Forma dell’Acqua.  La Favola che interrompe il Circuito della Favola (SPOILER ALERT!)
illustrazione di Simona Bramucci
parole di Matteo Sarlo
Guillermo del Toro vince 4 premi oscar con una fiaba che rompe il circuito della fiaba. Perché La Forma dell’Acqua è un racconto dalla trascendenza schiacciata che, tra Hugo Cabret di Scorsese e La La Land di Chazelle, è un inno al cinema. Nel doppio versante di industria culturale e potenza immaginativa.

La Forma dell’Acqua è tante cose. Una spy Story e un monster Movie. Un film di fantascienza e un fantasy. Una thriller e una love Story. Con una irresistibile estetica Mid-Century, a metà tra Hugo Cabret di Scorsese e Super8 di Abrams, La Forma dell’Acqua è soprattutto cinema su cinema, cioè una (bella) favola che interrompe il circuito della favola.

Una vita ordinaria: acqua, uova, sesso
Elisa (Sally Hawkins), che condivide il nome con Eliza Doolittle, la fioraia trasformata in signora di alta società dal professor Higgins in My Fair Lady (1964), lavora di notte come addetta alle pulizie in un centro di ricerca governativo vicino Baltimora.
Ogni giorno Elisa immerge le uova nell’acqua bollente, s’infila nella vasca, si masturba nel tempo esatto della cottura delle uova e poi va a lavoro: Acqua, uova, sesso.

Una nera, un gay, una muta
Elisa, muta per un intervento alla gola subìto da piccola, vive in un mezzanino, omaggio alla casa di Powell e Pressburger (Red Shoes, 1948), esattamente sopra l’Orpheum, un cinema specializzato nella proiezione di commedie e film biblici.


Per lei il cinema, in particolar modo il musical, è un’ossessione, che condivide con il suo unico amico gay Giles – l’altra amica è Zelda, la collega nera con cui pulisce i bagni del laboratorio. Insieme a Giles, e sempre seduta sul divano, ama battere i piedi al tempo di You’ll never know, premio oscar come miglior canzone (Hello Frisco Hello) del 1943.
Una nera, un gay, una muta.

Incontro 1
In servizio, in uno degli ambienti del laboratorio, Elisa scopre però il vero outsider. Il meccanismo della favola non potrebbe essere più evidente: c’è un castello, c’è una stanza proibita, nella stanza è nascosto un segreto.
Il primo incontro è quello di un monster Movie che si rispetti: viso che si avvicina, mano sul vetro, shock.

Incontro 2
Il secondo incontro è indiretto: mentre pulisce la sala da una litrata di sangue che fa invida al miglior Tarantino, Elisa trova le due dita che la Bestia ha staccato al Villain, il colonnello Richard Strickland (Michael Shannon). E qui il canone slitterebbe sull’horror, genere a cui Del Toro non è nuovo, basti pensare a La spina del diavolo ma anche a quella sorta di versione dark di Peter Pan che è The Orphanage, di cui è stato produttore esecutivo.

Incontro 3
Il terzo incontro è una volta ancora dietro un vetro. Questa vola però in verticale. Solo pochi istanti, ma quanto basta a far slittare il tono da monster Movie a quello Romance. Elisa e il mostro sono già pronti per passare al livello successivo: il primo appuntamento.


Il Primo Vero Appuntamento: Ordinario/Straordinario
Il calco è da Creature from the Black Lagoon (1954). Guillermo del Toro l’aveva visto per la prima volta quando aveva solo sei anni. E a quell’età una storia così, deve finire bene. Peccato che in Black Lagoon la bestia venga brutalmente uccisa e ciao ciao storia d’amore. Ecco, questo è l’incontro che innesca il genere fiaba. Inutile a dirsi, nemmeno questo campo trova impreparato un vero mostro del cinema, dopo il Labirinto del Fauno.
Per metterla giù facilmente, diciamo allora che La forma dell’Acqua : La Bella e la Bestia = Avatar : Pocahontas. Sia chiaro, non è una questione di plagio. Ma di archetipi.
A dirla tutta un’accusa di plagio c’è ma non ha niente a che fare con La Bella e la Bestia. È di David Zindel, che ha inviato una email al The Guardian accusando il regista messicano di aver calcato la storyline dall’opera del padre Paul Zindel Let Me Hear You Whisper.Ad ogni modo Elisa e la Bestia si fanno un vero e proprio pic-nic bordo piscina: lei gli consegna l’uovo, da quello che sappiamo su Elisa un chiaro riferimento sessuale, e lui se lo gusta con tanto di gomito poggiato fuori dall’acqua. Elisa gli fa sentire Benny Goodman e balla per lui appoggiandosi al mocio come fosse Fred Astaire in Royal Wedding (1951).
Lei che aveva ormai creduto che la vita fosse una resa all’ordinarietà, puntellata semmai da incapsulati istanti di desiderio bruciati davanti a uno schermo, diventa gravitazionalmente attratta dal Monstrum, ciò che per definizione si presenta fuori dal canone. E Ordinario/Straordinario è di certo la prima polarità del film. Che poi è il Grund per quel Realismo Magico che, per ammissione dello stesso Del Toro, è ascrivibile alla sua messicanicità.

L’evasione: Inclusione/Esclusione
Diventa immediatamente chiaro, la principessa deve far evadere la Bestia dal Castello. Proprio sotto gli occhi del colonnello (inequivocabilmente Gaston se letto tenendo sempre in controluce Beauty and the Best). Ci riesce, anche con l’aiuto del dottor Robert Hoffstetler, in realtà una spia russa di nome Dimitri il cui incarico è prendere informazioni sulla nuova “arma” americana. Una roba molto The Americans.

Elisa allora lo porta a casa e gli prepara la vasca come una perfetta mammina per il proprio figlioletto, aggiungendovi la giusta dose di salinità. Soltanto che la pulsione di Elisa non è esattamente quella alla maternità. Qui vivono il proprio amore clandestino, bruciato e consumato al riparo degli sguardi dell’Altro, per dirla in lacanese. In altri termini il grado di verità del loro amore respinge il riconoscimento della società (vietato non soltanto a loro due come coppia ma anche a ciascuno dei due individualmente). Per cui niente whatsapp e foto profilo, niente Tumblr e chat di gruppo. Solo loro due e una stanza immersa nell’acqua: tra le immagini più belle di tutta la cinematografia di Del Toro.
Già, inclusione/esclusione è la seconda polarità del film.

Niente Metamorfosi, solo un Upgrade
Ma La Forma dell’Acqua  non si limita ad essere un film sull’inglobamento nell’epoca del problema immigrazione.  Perché un film in cui la bestia non si trasforma in principe non mi sta soltanto dicendo che devo amare il prossimo, qualsiasi colore abbia, per quello che è, senza volerlo cambiare. D’accordo, anche, ma non è questo a determinarne la grandezza.


Il punto non è soltanto morale ma ontologico: una favola in cui la bestia non si trasforma in principe è una favola con una trascendenza schiacciata. Una favola in cui la bestia non si trasforma in principe è una favola che ribadisce, e allo stesso tempo revoca, l’elemento metafisico. Perché mentre nella Bella e la Bestia, sancito e francobollato l’amore tra lui e lei, tutto si trasforma, dal castello ai candelabri, dal corrimano all’anta dell’armadio, ripagando della “fiducia” la principessa che, anche lei, da “fioraia” si ritrova aristocratica, in La Forma dell’Acqua la Bestia rimane tale e, semmai, a trasformarsi (minimamente) è la fioraia, alla quale compaiono delle branchie per respirare sott’acqua. In realtà diciamocelo, più che una metamorfosi si tratta di un upgrade stile Kevin Kostner in Waterworld.


In più, mentre nella Bella e la Bestia il premio per aver creduto nella scissione metafisica Verità ≠ Apparenza (su questo punto, leggi La Bella e la Bestia. Ficta Fabula o Verità?) è la restaurazione del mondo ante maledizione, consegnando il plot ad un modello di vita reazionario in cui il meglio è la restaurazione del vecchio impiantata sul tutto cambia perché nulla cambi, in La Forma dell’Acqua il finale, un calco dal bacio di Tom Hanks e Daryl Hannah di Splash, è consegnato alla rinascita e alla cancellazione del mondo precedente. L’abbraccio tra la Bestia e Elisa upgraded è all’interno del liquido amniotico che solo permette la tabula rasa, il ricominciamento assoluto, il nuovo inizio, consegnando allora il plot ad un modello di vita, questo sì, progressista e spinto al futuro. All’interno della stessa sfera semantica si pone l’uovo, mitologicamente allegoria dell’inizio dei tempi.

Cinema su Cinema: una confessione d’amore
Come è riuscito del Toro a costruire una favola che ribadisce e insieme revoca se stessa? La risposta è in una dichiarazione a Gonzales Iñaritu, ringraziato nei titoli di coda:

Parlare d’amore è parlare dell’amore per il cinema.

Ecco, la saldatura di La forma dell’acqua è tutta qua. Perché se partendo dal legame con Iñaritu, e pensando a Birdman, si sarebbe tentati di interpretare il film di Del Toro come una forte critica all’industria culturale, cioè quel grande baraccone dorato che nasconde al suo interno il Mostro del Reale, si andrebbe totalmente fuori strada.
Perché La Forma dell’Acqua è una gigantesca dichiarazione d’amore al cinema così come lo è stato Hugo Cabret per Scorsese e La La Land per Chazelle.
Perché Elisa è muta non solo come Ariel ma come il cinema delle origini, come Buster Keaton e Charlie Chaplin. Perché per entrare nella sua testa del Toro usa il Musical. Perché abita sopra un cinema. Perché l’unica volta che la sentiamo parlare è attraverso il cinema, a tavola – sì, c’è anche la cena in cui lui mangia il brodo senza posate – mentre inizia a cantare You’ll Never Know. Allora esplode una sequenza in cui dalla tavola i due si trovano a ballare in uno show Black and White calcato su Follow The Fleet (1936) che fa un po’ Planetarium di Mia e Sebastian un po’ The Artist. Perché, insomma, la vasca è la metafora del cinema: ti ci immergi e inizi a vivere in un altro mondo.
Già, proprio tutta colpa dell’acqua.


Matteo Sarlo ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana. Ha pubblicato Passaggi sul vuoto (Galaad), un saggio sul concetto di «vuoto» in filosofia. È in pubblicazione Pro und Contra. Anders e Kafka (Asterios).

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