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GLI ANNI SETTANTA: IL GUSTO POP DELLA POLITICA COME MEDIUM
22/06/2021|L'EVENTO

GLI ANNI SETTANTA: IL GUSTO POP DELLA POLITICA COME MEDIUM

GLI ANNI SETTANTA: IL GUSTO POP DELLA POLITICA COME MEDIUM

parole di Flavio De Bernardinis

Ho appena finito di leggere Immaginare la realtà. Conversazioni sul cinema, edizioni Gruppo Abete, 2021, conversazioni tra Andrea Bigalli, sacerdote e critico cinematografico, e Marco Tullio Giordana, il regista de I cento passiLa meglio gioventùRomanzo di una strage.

Ho finito, e ne voglio scrivere subito, perché è una di quelle letture che ti spinge a prendere la matita e occupare tutti gli spazi bianchi della pagina, con interventi tuoi, di lettore, che si inserisce nel dialogo a due come terza voce, che obietta, plaude, dissente, acconsente, puntualizza, aggiunge. Aggiunge sì, ma togliere mai, perché i temi affrontati sono quelli essenziali per orientarsi oggi sulla bussola di ieri che, secondo Montale, “va impazzita all’avventura / e il calcolo dei dadi più non torna”.

È la prima volta, per esempio, che vedo reso esplicito qualcosa che alcuni amici mi rimproverano come vezzo, ovvero la convinzione che gli anni Settanta, etichettati per abitudine come nefasti e bui, siano piuttosto “l’età d’oro del Novecento”, un periodo ricco di sperimentazioni e voci dissonanti, che sarà messo prepotentemente a tacere a partire dal decennio successivo.

Anche il mio Maestro, Fernaldo Di Giammatteo, la pensava così. Per il cinema stesso, un decennio dove La grande abbuffataNovecentoGruppo di famiglia in un internoPadre padroneIl giardino dei Finzi ContiniIl portiere di notteSalòL’albero degli zoccoli, per restare al cinema, tenevano il passo, ad esempio, del Trattato di semiotica generale di Umberto Eco e di Se una notte d’inverno un viaggiatore, di Calvino.

Il libro di Giordana e Bigalli è una sorprendente e necessaria sintesi storica degli anni Settanta italiani, di cui i tre più conosciuti film del regista, I cento passiLa meglio gioventù e Romanzo di una strage risultano capitoli di inesauribile ricchezza. Giordana ne ripercorre, fra l’altro, genesi struttura ed esiti, approfondendone le intenzioni e i procedimenti messi in atto, perché risulti evidente la differenza tra politica e arte: nel senso, dice Giordana, che la politica è chiamata a progettare e disciplinare, l’arte deve invece sperimentare in libertà, giungendo persino, per vie non prevedibili, a quelle risposte che la politica pur con le sue misure tarderebbe a individuare.

Ecco, nonostante le apparenze, questa è proprio una idea molto anni Settanta. Non è vero, o meglio non è storicamente vero, che gli anni Settanta fossero il luogo della politica integralmente (stavo per scrivere “integralisticamente”) intesa. Il fenomeno delle radio libere, che ebbi modo di conoscere in diretta, era che “libere”, in fondo, significava anche libere dalla politica. 

La politica fu il medium di riferimento, certamente, ma comunque un medium (che non è sempre il “messaggio”). Ossia uno spazio attraversato da mille, anzi milioni di idee suggestioni sogni desideri e utopie.

Tutto ciò, la conversazione a due, anzi a tre, tra Giordana e Bigalli, lo evidenzia molto bene. La stessa biografia di Giordana, che l’artista sintetizza con calore ed obiettività, è la testimonianza della politica come medium: il nonno, di cui porta il nome, Tullio, fu liberale non-fascista che per amor di Patria, partecipò prima alla spedizione in Etiopia, poi alla “pugnalata alle spalle” alla Francia per arruolarsi infine nelle fila delle milizie partigiane. Esempio perfetto della politica come medium che filtra idee sentimenti obblighi e visioni in nome comunque del fare contrapposto al non-fare.

Come diceva Emilio Garroni (riferendosi all’estetica di Kant), un guardare-attraverso, ossia non un fronteggiare il filtro, una sterile illusione, ma guardarlo, così, includendo sguardo e mondo all’interno della stessa dimensione: l’esperienza.

E non è stato forse questo il cinema italiano, di cui Giordana filtra e partecipa gli istinti e le riflessioni? Un guardare-attraverso senza timori né alibi la realtà alla luce dell’esperienza? Certo che sì. E il libro ne è un promemoria ragionato e puntualissimo, evidente e anche scorretto, perché la cultura cinematografica, quella di oggi, è purtroppo lontanissima da tutto ciò.

Non dico “cinema”, si badi, ma “cultura cinematografica”, adesso ridotta all’imperium dell’algoritmo. Dapprima per la resa del discorso critico alla voce di dizionario: il critico del più importante quotidiano italiano e il più importante dizionario dei film italiano, per metonimia, si rimbalzano il nome. Quindi, e di conseguenza, per un approccio “culturale” al cinema dove vige l’estetica del precotto. Ossia i giudizi sul film, la serie o quant’altro fondati unicamente sulla fedeltà a ciò che il film o la serie sembrano promettere. Dove tutto ciò che sorprende viene rigorosamente negato. E anche la sorpresa, quando c’è, deve rientrare tra quelle “promesse e previste”. E poi nbasta.

Di sorprese non previste, invece, è ricca la conversazione a due, anzi a tre, tra Giordana e Bigalli: che lo stesso Giordana, il tragico giorno della bomba alla Banca dell’Agricoltura di Milano (tema de Romanzo di una strage) si trovasse in tram a poca distanza dall’accaduto testimone diretto dell’evento, così come fosse stato lo stesso commissario Calabresi a interrogare lo studente Marco Tullio Giordana in occasione dell’occupazione del liceo Berchet di Milano.

Per concludere, un auspicio. Nell’ottica della politica come medium, buona ottica pop, di cui anche un’attenta lettura de Il Principe di Machiavelli costituirebbe prova e conferma, c’è un’altra grande istituzione, allo stesso modo, che non viene mai, ma proprio mai intesa e interpretata come un medium. Così come fa comodo catalogare la politica quale essenza metafisica di non si sa cosa, o bieco ma opportuno fine che giustifica i mezzi, parimenti è gradita abitudine assumere nel medesimo orizzonte la scuola. Missione per gli insegnanti, pezzo di carta per gli studenti, oppure frustrazione per gli insegnanti, e parking protetto per gli studenti, nessuno, né politici né intellettuali, intendono la scuola come medium. Uno spazio da attraversare guardando attraverso. Una dimensione che deve filtrare gli sguardi degli studenti alla luce della cultura come esperienza.

A me, terza voce nel dialogo a due intitolato Immaginare la realtà, piacerebbe che Marco Tullio Giordana facesse del cinema di tutto ciò.

Flavio De Bernardinis è docente di Analisi del linguaggio cinematografico e Storia del cinema presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha curato il volume 1970-1976 della Storia del cinema italiano. Tra i suoi saggi Nanni MorettiRobert AltmanL’immagine secondo Kubrick, Arte cinematografica. Il ciclo storico del cinema da Argan a Scorsese

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