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Aladdin: la favola che realizza l’enciclopedia della favola
14/06/2019|L'ANALISI

Aladdin: la favola che realizza l’enciclopedia della favola

illustrazione di Simona Bramucci
parole di Matteo Sarlo

In Orpheus l’archeologo e storico francese Salmone Reinach (1853-1932) separa la favola antica dalla favola moderna. Nella prima non si opererebbe alcuna trasformazione di uomini in animali, semplicemente si riconoscerebbero negli animali evidenti tratti umani. Che dunque gli esseri umani si trasformino in animali (tratto caratteristico del nostro concetto di Fabeln) è un fenomeno nuovo, ed è una sorta di Rück-Metamorphosen o metamorfosi di ritorno, sancito dalle Metamorfosi di Ovidio.

In The Greek and the Romans, Reinach ricorda come Prometeo, eroe di una protomitologia antecendente al mito classico, fosse un’aquila che rubò il fuoco al sole. E Artemide, rifacendosi al racconto di Artemide e Atteone, una cerva. Ma una cosa è certa: nelle favole c’è un rapporto strettissimo tra uomini e animali. E così anche in Aladdin; Jafar con Iago, Jasmine con Raja, Aladdin con Abù. È come se ogni personaggio cruciale per lo snodo della storia si affidasse a un totem.
Seppure, rimane vero, tale rapporto infetta molto più il live-action di Guy Ritchie (2019) e il film del 1992 che la favola originale Storia di Aladino e della lampada incantata.

Quella che potremmo chiamare la storia di un Ur-Aladino fu ritrovata in un manoscritto della Bubliothèque Nationale di Parigi e pubblicata nel 1888. Quindi con molti, ma molti secoli di ritardo rispetto agli altri racconti di Le mille e una notte. Oggi sembrerebbe tuttavia accertato che la collezione originaria prevedesse già la storia di Aladino e che il manoscritto ritrovato fosse una redazione parallela a quella perduta nell’originale. Ma alcune cose non tornano. Come il fatto che la storia di Aladino è composta in un arabo non letterario e contaminato dal volgare egiziano. O il sospetto di una ritraduzione e riscrittura dal francese dei primi dell’Ottocento. Ma in buona sostanza si è certi che la fiaba sia orientale.

1.
Ur-Aladdin


In una città non precisata della Cina, Aladino era figlio di un sarto abbastanza povero. Di andare a scuola o costruirsi una identità professionale, non ne aveva mezza idea. Master, neanche a parlarne. Il padre prova anche a portarlo nella sua bottega, ma la cosa dura poco. In realtà, non è che fosse poi così strano: all’inizio della storia Aladino ha dieci anni. E a dieci anni non è che hai molta voglia di capire come si tira su un maglione. Ma l’uomo non se ne fa una ragione e «dal dolore e dal cruccio per la scapestraggine del figlio, si ammalò e morì».
Cosa succede allora?
Due cose bellissime:

  1. Aladino rimane tale e quale a prima.
  2. La madre si mette e filare il cotone
    (per poi venderlo e mandare avanti la casa).

Anzi, ad Aldino che il padre avesse tirato le cuoia va anche bene: «vistosi liberato dal molesto controllo paterno, divenne anche più scioperato e briccone, e prese a non rientrare in casa che allora del pasto».

In uno dei pomeriggi insieme agli amici, uno di quelli al campetto per capirci, lo nota un derviscio maghrebino: «Questo giovane è quello che cercavo, e per la cui ricerca sono partito dal mio paese». Prende un po’ di informazioni dagli amici e poi, avvicinatolo, finge di essere il fratello del padre morto (quindi lo zio) che era venuto a fargli visita. Aladino se la beve subito, d’altronde è quello scemo che non fa niente. La madre qualche sospetto se lo fa venire. Ma quando il maghrebino gli dà un lavoro, lo porta a fare shopping e gli apre un conto in banca, si fa passare tutti i dubbi:

Al vedere il figliolo vestito come un mercante, alla povera donna balzò il cuore della gioia, e cominciò a rendere grazie alla generosità del cognato maghrebino

Un giorno lo zio lo porta a fare un giro fuori città. Dopo un po’ che camminano tra un parco e l’altro, Aladino chiede dove fossero diretti.
«Andiamo a vedere un giardino quale non hanno i re il somigliante. Tutti quelli che hai già visti, non sono nulla rispetto a questo». A un certo punto si fermano e dalla terra si alza «un blocco di marmo con infitto un anello di bronzo». Il maghrebino gli ordina di «mettere la mano dentro quell’anello e sollevarlo». Solo lui può riuscirci, se nel mentre avesse pronunciato il suo nome, quello del padre e quello della madre. Della serie, carta d’identità, stirpe, genealogia. E così accade.

«Venuta su la lastra, egli la gettò da un canto: gli apparve un sotterraneo con una porta, a cui si arrivava per una scala di dozzina di gradini».

Ecco, questo è grosso modo l’inizio del film della Disney, la grotta delle meraviglie etc… Ora, la grotta non è proprio una grotta. Ci sono quattro ambienti in ognuno dei quali stanno quattro vasi ricolmi d’oro e d’argento. Una cosa però è simile, passando non deve toccare (nemmeno con i vestiti) vasi e muri, altrimenti si sarebbe trasformato in una pietra nera. Al quarto ambiente Aladino trova una porta. La password per aprirla è ancora il suo nome, il nome del padre, il nome della madre. Oltre quella porta c’è un giardino, superato il quale troverà una sala a volta con una scala di trenta gradini. Lì troverà una lampada sospesa alla volta.

«Prendila, rovesciane l’olio che essa contiene e mettitela in seno, senza paura per i tuoi indumenti, ché non è olio vero».

Da questo momento in poi la storia prende tutta un’altra piega. Aladino esce dalla “grotta” sfregando l’anello che il maghrebino gli aveva dato (c’è un genio dell’anello meno potente del genio della lampada), la lampada la strofina la madre a casa, lui sposa quasi subito la principessa Badr al-Budúr alias Jasmine, i desideri non sono tre ma sono infiniti, il Visir esiste ma fa la figura del brocco, tutto finisce bene dopo la vendetta del maghrebino (e del fratello del maghrebino, più potente di lui) che scopre la vita da Vip di Aladino.

Live-Action 2019
In termini di plot la favola è molto, ma molto diversa da quella comparsa sugli schermi (imax e non) di Ritchie. Come del resto dal film del 1992, di cui quella di Ritchie è una trasposizione fedele eccetto che per un paio di punti (riassumibili in: Jasmine è più metoo e il genio… NO SPOILER). Ma non è tanto una questione di plot. È che mentre la favola originale s’incardina su un unico gesto – sposare la principessa e fare in modo di mantenere lo status raggiunto a qualsiasi costo (che sia reale o finzionale) – l’interpretazione del film del 1992 e del live-action di Ritchie costruisce una favola che realizza l’enciclopedia della favola.

2.
Verità Vs Apparenza

Quella tra realtà reale e realtà finzionale è il binario su cui procede l’intera favola del ragazzo povero innamorato della principessa, costretto a simulare il proprio stato sociale non tanto per conquistarla (cosa che fa già da “straccione”) quanto per mantenere attivo l’innamoramento. Tutti fingono, nel live-action di Ritchie:

  1. Jasmine finge di essere Dalia (quando Aladdin si presenta per quello che è)
  2. Aladdin finge di essere il principe Alì (quando Jasmin si presenta per quello che è)
  3. Jafar finge di essere un suddito leale (quando è in presenza del sultano)

Realtà reale Vs realtà finzionale. Una polarità che si declina su due assi, incapsulando dentro se stessa altre due favole:

  1. L’asse della simulazione, è il caso di Cenerentola: così come i topi diventano cavalli, i vestiti da serva un abito di Chanel, la zucca una carrozza etc… così Abù un elefante etc… In entrambi i contesti la finzione permette alla realtà di accadere.
  2. L’asse della dissimulazione, è il caso di La bella e la bestia: così come la bella fata del prologo si presenta a palazzo fingendo di essere un orribile e vecchia mendicante per testare la morale del principe, in maniera soltanto apparentemente invertita il principe Alì si presenta dal sultano occultando di essere uno straccione: in entrambi i casi la “verità” è quella che farebbe funzionare il rapporto, mentre le apparenze simboliche sono quelle che creano attriti al legame profondo (la resa ironica nel Live-Action non potrebbe raggiungere grado più esplicito con la “scivolata” sulle confetture)

3.
The Chosen One

Ok, sono un agente letterario e mi trovo alla Buchmesse di Francoforte. Setting: siamo in un mondo in cui Aladdin non è ancora stato pubblicato. Devo fare il mio pitch. Come lo inizio? È la storia d’amore un po’ Shakespeare un po’ Spencer ma tra la Cina e l’Africa… Perso. È la storia di una differenza di classe… Ancora? C’è un ragazzo, che è l’unico a poter entrare nella grotta delle meraviglie. Ecco, forse. Perché se il binario verità/apparenza è l’asse portante della narrazione, ad innescarla è la tematica del ragazzo segnato dal destino, del prescelto, dell’uomo che è mosso dalle stelle.

Con tutta evidenzia la favola incapsulata è La spada nella roccia. E così come nella leggenda di Artù, se sfili via il prescelto la narrazione si rompe in mille pezzi.

4.
Il Potere, i poteri

Il potere/i poteri. Al singolare si delinea un contesto molto preciso che struttura il plot della storia di Aladdin (più sul versante Disney che su quello Mille e una notte): la tematica del trono conteso, interpretato come riserva di potenzialità, sempre disponibile all’attivazione. La bella e la bestia, Cenerentola, La Spada nella roccia. Ora Il Re Leone: C’è un re, c’è un legittimo erede, c’è un usurpatore che fa di tutto per conquistarne il potere (Jafar/Scar). Il modello è notoriamente Amleto, ma anche Riccardo III.

Al plurale, i “poteri” del Genio sono vissuti come esplicitazione di pura funzionalità, realizzando il sogno della massima efficienza economica. Non c’è nessuno scarto, nessun residuo, nessuno sforzo dissipato nel gesto del genio. Tutto il gesto è riempito nella totalità della sua riuscita.

5.
Rubare ai ricchi…

In una delle sequenze iniziali del Live-Action (e del film del 1992) Aladdin sfugge alle guardie del palazzo per aver rubato un tozzo di pane. Per capirsi, dopo tutta una serie di inseguimenti tra viette, tetti, balconi, una roba a metà tra il Liam Neeson di Besson e il Tom Cruise di MI, cosa fa? Lo dona ad un bambino più povero di lui.

La bella e la bestia, Cenerentola, La Spada nella roccia, Il Re Leone. È il momento in cui Aladdin incapsula Robin Hood. Il motto (rubare ai ricchi per donare ai poveri) dimostra quella che è spiegabile soltanto nei termini di una Super-etica. Non si tratta infatti di infrangere la legge, si tratta di infrangerla per meglio garantirne l’essenza. Due epoche diverse, due mondi distanti, due ladri che pensano e agiscono sub specie aeternitatis, tradendo la legge dell’uomo come unica via per restarne fedeli.

6.
Grotte e tane

D’accordo, in Aladdin c’è il genio. E in nessun’altra favola esiste un personaggio neanche lontanamente simile. Dici Aladdin e pensi alla lampada, vero. Ci sono però almeno un paio di domande:

  • Da dove prende i poteri?
  • Qual è la funzione narrativa del genio?(oltre a farci ammazzare dalle risate, tanto nella versione di Robbin Williams quanto in quella di Will Smith)

Stando alla tradizione araba, la madre di tutti i geni (al plurale) è l’uovo dell’uccello di Rukh. Matrice e origine che interrompe la filiazione all’indietro, l’uovo rappresenta l’universo chiuso che garantisce una figura-ponte come quella del Jinn, a tutti gli effetti uno spettro che abita un mondo tra l’Aldilà e l’Adiqua. Da un punto di vista strategico, a cosa serve una figura del genere? La risposta è autoevidente: senza il genio, Aladdin sarebbe morto. Il che vuol dire, senza il genio (cioè senza lo spettro di un mondo “altro”) non è possibile attivare alcuna narrazione. Senza il genio, senza la sua evocazione esattamente come una musa greca prima del racconto, non è possibile scoperchiare la narratività della vita.

Per incontrarlo Aladdin deve però precipitare in un mondo “criptato” (servono user e password, che solo lui possiede, the chosen one), un mondo di confine: la grotta. Che nella versione originale sia un “giardino” non fa che alimentarne la trascendenza metafisico-teologica. La bella e la bestia, Cenerentola, La Spada nella roccia, Il Re Leone, Robin Hood. Ora siamo catapultati dentro Alice nel paese delle meraviglie.
«Giú, giú, giú. Sarebbe mai cessata quella caduta? – Mi domando per quante miglia sarò ormai precipitata, – disse ad alta voce».

Ecco, Aladdin. La favola per eccellenza. La favola summa. La favola che le incapsula tutte quante e le dispone in sequenza. Aladdin, la favola che realizza l’enciclopedia della favola.

Matteo Sarlo è nato a Roma nel 1989, dove vive e lavora come editor.
Nel 2018 ha pubblicato Pro und Contra. Anders e Kafka, una riflessione sulla filosofia di Günther Anders interprete di Franz Kafka.
Ha scritto per diverse riviste filosofiche, di critica cinematografica, viaggi, cronaca e narrativa urbana.

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