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Neve Nera di Paul Lynch. Sull’accanimento della Storia e il destino degli uomini
02/10/2018|L'EVENTO

Neve Nera di Paul Lynch. Sull’accanimento della Storia e il destino degli uomini

illustrazione di Matteo Sarlo parole di Marco Quaglia

C’è un uomo che sfida la Storia e il destino degli uomini a lui simili. C’è una catastrofe e poi una nuova sfida lanciata alle convenzioni comuni, al genius loci e agli antenati di una terra antica. C’è la spregio verso gli anatemi di un vecchio uomo con la faccia da profeta. C’è la lotta contro tutti e la sconfitta. Insomma puro teatro greco. Neve Nera è il secondo romanzo di Paul Lynch, anche questo come il primo (il sorprendente Cielo rosso al mattino) è edito in Italia da 66thand2nd. Il libro è tragedia greca ma anche cinema di Tarantino, il tutto ambientato nell’Irlanda del 1945.
L’inizio è subito fuoco e cenere. Ci troviamo nel Donegal, la più vasta regione dell’Ulster, nel nord del paese. Il contesto è quello tipicamente rurale e depresso di quella parte del mondo. Barnabas e Eskra Kane sono a lavoro nella loro fattoria quando uno spaventoso incendio divampa distruggendo la stalla, uccidendo tutto il loro bestiame e un uomo di nome Matthew Peoples. L’incendio viene descritto al primo paragrafo. Comincia tutto come una beffa.
Era appena calata l’oscurità quando Matthew Peoples lo vide per la prima volta. La sua figura massiccia si ergeva in mezzo al campo, il braccio girato all’indietro per grattarsi la spalla. Indossava una canottiera grigia e sporca e, in silenzio, si stava interrogando perplesso su quanto aveva appena visto. Sembrava la coda di un gatto arrotolata verso il cielo, sottile e grigia, come fumo confuso dal peltro delle nuvole.
La cenere che si posa infine sulla terra e sulle carcasse delle povere bestie, la neve nera del titolo. L’incendio è solo la prima delle sciagure che piano piano cominceranno a vorticare intorno alla figura sisifica di Barnabas e di sua moglie. La coppia è infatti alla periferia della Storia – di tanto in tanto Barnabas si ritrova ad ascoltare per radio le notizie su quell’Hitler che sta per capitolare a Berlino – ma cosa ancora peggiore, è alla periferia della periferia. La comunità del Donegal, una comunità contadina che ci si aspetterebbe naturalmente solidale, è invece bigotta e chiusa nei confronti dei due. Il motivo è presto detto. Barnabas è un irlandese anomalo. Dapprima emigrato in America per cercare fortuna – oltreoceano lavorava nei cantieri dei grandi grattacieli – farà in seguito ritorno alla terra dei propri avi. In questa sua traiettoria egli è anti-Storico – gli irlandesi sono stati tra i più grandi emigratori di quell’epoca – e inoltre sfacciato; Barnabas torna con una moglie, che per quanto di sangue irlandese è americana, e parla una lingua diversa dal gaelico irlandese. L’ostilità verso questi stranieri d’Irlanda verrà resa in modo sempre più manifesto nello svolgersi degli eventi. Questo ostracismo esploderà in maniera simbolica quando Barnabas, vistosi sbattere molte porte in faccia ad ogni richiesta d’aiuto ai propri vicini per avere un po’ di pietre e legna per ricostruire la propria stalla – sciaguratamente non più assicurata – finirà col prendere le pietre dai ruderi di alcune case abbandonate dai tempi della carestia. Goat McLaughlin è uno di questi vicini, un uomo anziano, con la testa calva ed una barba bianca da profeta. Anche lui è accorso alla fattoria durante l’incendio, eppure non sembra disposto ad aiutare Barnabas più di tanto. Certamente non sembra accettare la profanazione delle case. Gli scontri con Goat saranno diversi. Parlando con Eskra dirà:
Riguardo la stalla che il vostro Barnabas sta ricostruendo. Voi lo sapete dove ha preso quelle pietre, vero? (…) Quello che sto provando a spiegarvi, Eskra Kane, è che vostro marito ha rubato quelle pietre dalle vecchie case dei tempi della carestia. Luoghi che sono come tombe per quella gente. Forse non potete capirlo, voi che siete straniera, ma quelle vecchie mura fanno parte di noi. Quelle pietre sono come le nostra ossa. (p. 215)
Ignorato e accusato di pazzia per quella sua preoccupazione irragionevole più per delle pietre che non per una famiglia di vicini caduti in disgrazie, Goat McLaughlin sarà quasi profeta di sciagure ancora più tremende. Ogni sventura che si abbatterà sui Kane ha il volto sempre celato di un giovane squilibrato, compagno di fattacci del figlio Billy, eppure pare di scorgere in questo stralunato una mano divina. Non ho potuto fare a meno di pensare alla follia omerica che in realtà era una forma di possezione di uomini agiti dalle emozioni. Come detto Barnabas è un moderno Sisifo, una figura tragica alla quale il destino sembra chiedere più di quanto un uomo possa essere in grado di tollerare. Eppure ogni volta trova la forza di risollevarsi. La ricostruzione della stalla contro ogni avversità – i vicini e le loro maledizioni, il clima e la natura avversa -; ma poi anche la ricerca del cane Ciclope (nome non casuale), che sparisce e verrà poi ritrovato in maniera tremenda; e poi ancora la moglie Eskra, che lo abbandonerà così come farà Billy. Non ho potuto fare di meglio (p.271) dirà alla fine, con la testa fracassata per via di una rissa con il padre del ragazzo folle causa di ogni suo male, prima di perdersi in un’allucinazione che forse sarà una morte. Si diceva all’inizio che Neve nera è una perfetta tragedia greca. Alla storia e alla sua struttura, che già di per sé non lasciano molti dubbi, Lynch aggiunge un’altra serie di indizi sparsi qui e là nel corso di tutta la narrazione. Ad esempio ci sono i brevi intermezzi dal diario di Billy, che sviluppano nell’arco di poche pagine una verità nascosta sull’origine dell’incendio, mentre per Barnabas questa diverrà chiara solo a poche pagine dalla fine. Lo scollamento tra quello che il lettore apprende a metà del libro circa, e quello che Barnabas è costretto ad affrontare è solidificato nella seconda citazione all’inizio del opera: si tratta di una frase di George Oppen, poeta americano: Poiché ciò che si conosce e ciò che non si conosce si toccano, e in fondo non è altro che un vecchio meccanismo della tragedia. Vecchio come vecchi sono gli antichi greci, è in questo dualismo tra il noto e l’ignoto che Paul Lynch pennella di grigi la tela nera che ha deciso di comporre. Una tela fatta di paragrafi di poche righe, scorci – o sequenze – di una trama che è sì letteraria, ma anche preponderantemente cinematografica. Erede naturale e dichiarato dei grandi americani, McCarthy e Faulkner su tutti, questo autore che per look e fattezze ricorda più una rockstar, è in fondo a Sofocle e Tarantino che sembra accodarsi.
Marco Quaglia è laureato in Relazioni Internazionali. Nel 2017 ha pubblicato insieme a Shareable.net un libro collettivo sul fenomeno delle città condivise “Sharing Cities: Activating the Urban Commons“. Cura un blog di letteratura.
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